fr it en
indietro
Stanze
Il termine italiano "stanze" significa "camere" ma anche le "stanze" di un poema: poema formato da una serie di strofe di ispirazione grave che spesso testimoniano una meditazione personale. Queste strofe sono costruite su uno schema identico.

Ritmi di linee, di ombre e di luci. Voci immaginate o realmente imprigionate in queste mura. Tutte queste stanze, uguali e diverse. Una...
Leggere...
Il termine italiano "stanze" significa "camere" ma anche le "stanze" di un poema: poema formato da una serie di strofe di ispirazione grave che spesso testimoniano una meditazione personale. Queste strofe sono costruite su uno schema identico.

Ritmi di linee, di ombre e di luci. Voci immaginate o realmente imprigionate in queste mura. Tutte queste stanze, uguali e diverse. Una stanza... che conteneva innumerevoli repliche di se stessa.

Ci sono tornata un'infinità di volte. Con tutti i tempi. Mi spostavo nell'asse dell'alba e del tramonto : le stanze subivano l'influenza del tempo e delle ore del giorno. Gli spazi si illuminano e si oscurano, fingendo di addormentarsi e di svegliarsi nel corso delle ore. Sembrano attirare il cielo nelle stanze.

Durante le prime fasi della demolizione, i cambiamenti sono graduali e si ha il tempo di osservare. Ma è solo dopo la fase di rimozione dell'amianto che questi spazi diventano per me davvero espressivi. Quando non è rimasto quasi niente... eppure qualcosa è rimasto.

Ma in questa fase della demolizione tutto procede con grande rapidità. Dall'esterno l'edificio viene letteralmente "divorato". Gli spazi interni si ritrovano aperti sull'esterno e scompaiono in qualche ora.

Dai corridoi squarciati, siamo già fuori.
Ridurre
Testo aggiuntivo...
« La forma di una città cambia più velocemente del cuore di un mortale » Baudelaire

Un posto come questo è ovunque. Niente di straordianario. Niente di spettacolare. Solo "un luogo di vita".

Ho seguito la demolizione di due edifici (barre) del quartiere de L'Île Marante, nella periferia parigina, tra settembre 2007 e la primavera 2009.

Lavoro fotografico - inventario metodico Ho iniziato il servizio per I3F allo stesso tempo che gli operai la demolizione. Rispondendo in un primo momento al bando di gara del locatore sociale, per il quale ero incaricata di raccogliere immagini sulla memoria di un luogo destinato a scomparire. Un luogo come ce ne sono molti simili nelle nostre periferie.

Fin dall'inizio ho sentito il bisogno di operare in questo modo : lavoro minuzioso, un pò ossessivo, piano per piano, stanza per stanza, giorno dopo giorno, stagione dopo stagione. Ero affascinata da queste stanze dai volumi identici. Tutte diverse da tante variazioni minime. Su una barra/edificio di 11 piani di abitazioni, ho visto e rivisto tutti gli appartamenti, sotto cieli diversi, con tutte le variazioni di luce. La frontalità si è imposta come forma di dialogo possibile tra esterno e interno. Come una finestra su un mondo che ci guarda. La presenza umana non è più che nelle tracce impercettibili di cui le mura conservano un ricordo e il paesaggio prende il sopravvento, come in primavera, quando gli alberi entrano quasi all'interno della stanza prima di scomparire definitivamente insieme al fabbricato.

Con la demolizione l'edificio viene letteralmente divorato. Le stanze si ritrovano aperte, con la loro intimità rivelata alla luce del giorno. I morsi progressivi delle macchine attenuano il confine tra interno e esterno e un nuovo spazio si apre tra i due.

Verso la fine della demolizione, gli 11 piani si reggono solo su 10, 15 metri al suolo : in queste condizioni, ho potuto fare l'immagine del corridoio sventrato sul fondo della Défense grazie alla benevolenza degli operai che hanno fermato le macchine per lasciarmi salire un'ultima volta. In questa immagine, due mondi si affrontano o tentano una conciliazione. Le tradizionali case popolari e i moderni grattacieli della Défense giocano un faccia a faccia.

Contesto
Gli anni 2000 hanno visto moltiplicarsi i piani di restauro urbano per i sobborghi. Si tentava teoricamente di rimodellare l'habitat della città, di diminuire la chiusura di certi quartieri e quindi migliorare la circolazione grazie a moduli architettonici misti (le barre sono sostituite da edifici pavilineari) lasciando una percentuale variabile delle abitazioni che accedono alla proprietà. Si cercava di dinnescare in parte la tensione di alcune zone sensibili. Ia volontà del rinnovamento del sito de L'Île Marante nella città di Colombes, nasce in questo contesto. Si trattava del progetto di demolizione di due barre HLM di 350 alloggi sociali, inteso a modificare la configurazione del quartiere per costruirvi vari edifici di 4-5 piani, comprendenti 300 alloggi. Di questi, un centinaio resteranno "sociali" e gli altri 200 saranno in locazione libera o permetteranno l'accesso alla proprietà.

Nel 2006 il locatore sociale I3F ha indetto una gara d'appalto per un fotografo e uno storico per la realizzazione di un libro sulla memoria del luogo.

La grande utopia degli anni '60
Gli edifici de L'Île Marante sono stati costruiti dall'I3F all'inizio degli anni '60. Questo grande complesso, contrariamente ad altri esempi del genere, ha la sua propria particolarità. E' stato costruito in un luogo "carico" di storia, e dove la profusione degli spazi verdi contribuiva ad accentuare la qualità di vita e spiega l'attaccamento affettivo della maggior parte degli abitanti per il sito (come lo sottolinea lo storico Jacques Sélamé).

Pochi quartieri sociali hanno o hanno avuto una connessione al paesaggio e alla natura così rilevante. Oltre al grande parco boschivo, gli abitanti coltivavano giardini condivisi. Per la ristrutturazione del quartiere, è stato necessario radere anche il parco e gli alberi sradicati mostravano immagini altrettanto sconcertanti che gli scheletri di cemento e delle macerie.

Come tutti i grandi "complessi" nati negli anni 1960-1970, il sito de L'Île Marante è un territorio carico della storia dell'immigrazione. Molteplici culture si ritrovavano fianco a fianco fino a creare un'altra cultura, quella della mescolanza. Almeno 40 nazionalità vivevano nei due edifici. Sembra ci fosse una buona intesa che pare aver generato presso gli abitanti un forte senso di identità collettiva.

"Prima di essere percepiti come "zone di non diritto", i grandi complessi hanno rappresentato per migliaia di famiglie l'accesso al comfort dell'abitazione moderna, con acqua corrente, riscaldamento e stanze intime". (La demolizione, paesaggi dell'attesa - Mathilde Lépine))

Con la decisione di demolire, le condizioni di vita si sono deteriorate. Si è lasciato che le cose degenerassero, gli atti di incivilità sono divenuti ricorrenti. Un clima di insicurezza si è instaurato. Alcuni abitanti hanno parlato di abbandono e di assenza di manutenzione. Per molti questo periodo è stato difficile da accettare. Il progetto del futuro non li riguardava : "le nuove costruzioni non sono per noi !".

I contesti di mutazione sono spesso sensibili.
Mi chiedo quali sconvolgimenti provochi questo profondo rinnovamento urbano : come queste famiglie percepiscono tali trasformazioni del loro spazio di vita ?

"(...) Il rinnovamento urbano è un momento in cui gli abitanti vengono privati della loro capacità di appropriarsi dello spazio. Gli confisca la loro storia. Gli fa perdere cio' che hanno costruito su un tempo lungo, quei piccoli gesti accumulati su diverse generazioni e dei quali si fa tabula rasa". Se la demolizione è un atto riflessivo e decretato dalle autorità competenti, rimane la sensazione che essa sia estranea agli abitanti. Qual è il loro destino ? La demolizione è un dolore o una liberazione ? Al contrario di una demolizione subita, come avviene in tempo di guerra o a causa di catastrofi naturali, la specifità della demolizione dei grandi complessi è di essere una scelta deliberata. E' una società che decide di demolire cio' che ha costruito perché la sua opera non funziona. La demolizione rafforza il senso di un supporto patogeno che porta con se la colpa di una società malata.(...) I paesaggi della demolizione testimoniano delle molteplici temporalità del territorio : la rapidità della costruzione di questi edifici e complessi di abitazioni concepiti in modo industriale a partire da materiali prefabbricati, il lento degrado fino alla "rottura", il breve tempo della demolizione e il tempo indefinito della nuova appropriazione di uno spazio ricostruito. Questi tempi sono anche quelli della vita dell'essere umano : tra il prima e il dopo, gli abitanti vivono a volte per diversi anni in un gigantesco cantiere. ("La demolizione, paesaggi dell'attesa" - Mathilde Lépine)